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Masso istoriato in localtà Cantello (val Savenca)

sabato 19 aprile 2014

Incisioni rupestri del monte Cavallaria

Pubblicato in:
Bulletìn d'Ètudes Préhistoriques et Archéologique Alpines, XVI, Aosta, 2005, pp. 217-224.



Incisioni rupestri del monte Cavallaria



 INTRODUZIONE

        Archeologi, etnologi ed antropologi hanno demandato lo studio delle incisioni rupestri dell’arco alpino ai ricercatori dilettanti. Tale delega è abbastanza generalizzata: poche sono le eccezioni. I professionisti di tali scienze non hanno rinunciato ad interessarsi di quei siti dai quali ritengono possibile derivare dati cronologici  o culturali di un certo peso; è il caso, per esempio, delle grandi concentrazioni di massi incisi del Monte Bego, della Valcamonica e della Valtellina, le cui figurazioni per un verso rendono immediati i confronti e per un altro trovano riscontri inconfutabili su reperti recuperati dagli scavi archeologici. Pochissimi studiosi di professione si sono impegnati personalmente nello studio di quella gran massa di incisioni che altrove sono presenti in misura quantitativamente rilevante, ma che sono caratterizzate in ben altro modo: si tratta di coppelle, canalette e vaschette, a sé stanti o in associazione con altri segni, la cui analisi è stata ritenuta inutilmente dispendiosa, tanto da non giustificare, per essa, un investimento di risorse: si è preferito delegare la ricerca e la frustrante indagine interpretativa a chi ha poco da perdere sul piano della responsabilità culturale: ai dilettanti.
        Costoro hanno continuato, testardamente, a riconoscere in un’impresa del genere un certo fascino, che talvolta li ha portati ad effettuare voli pindarici nella costruzione di ipotesi; queste, in definitiva, non hanno fatto altro che accumularsi senza il supporto di adeguate giustificazioni scientifiche.
        Ciò nonostante non è assolutamente scontato che l’impegno profuso da chi si avventura in un simile compito non possa portare a risultati di una certa rilevanza.
        Vantandoci di appartenere al novero di questi appassionati, abbiamo avanzato in altra sede una proposta sul piano metodologico tesa a definire nuovi criteri di ricerca dei dati ed un nuovo modo di organizzarli, rinunciando a formulare risposte a domande che al momento attuale risposte non possono avere. Desideriamo porre la nostra fiducia nella realtà oggettiva, certi che prima o poi da essa potremo estrapolare informazioni interessanti.
        Tale proposta metodologica ci ha imposto di accantonare per il momento i complessi quesiti relativi alla cronologia e alla funzione delle incisioni e ci ha condotti all’individuazione e allo studio di concentrazioni di massi incisi.
        Il concetto di ‘concentrazione’, unitamente a quello di ‘areale di diffusione’,  esige, ai fini di evitare qualsiasi ambiguità, una puntuale definizione. Con ‘concentrazione’ intendiamo un insieme più o meno numeroso di massi incisi su cui compaiono segni che, per le loro caratteristiche formali (stile, contenuto, tecnica d’incisione, ecc.) possono essere riconosciuti come appartenenti ad un’unica categoria, più o meno strutturata. Su questa base, quindi, tanto per restare in ambito canavesano, possiamo considerare come concentrazione l’insieme dei segni incisi sulla ‘Pera dij Cros’ in Valchiusella, anche se riguarda un unico masso inciso, ma non possiamo riconoscere come concentrazione il gran numero dei segni incisi sui massi del ‘Sentiero delle Anime’, sempre nella stessa valle, che non condividono in toto le stesse caratteristiche formali. In quest’ultimo caso emerge con evidenza che un buon numero di incisioni presenti su diversi massi del sentiero appartengono a quella che per noi è la concentrazione del Giass Very e che abbiamo descritto in altra sede.
        L’anfiteatro della Serra d’Ivrea, tanto per fare un altro esempio, propone due concentrazioni: la prima è quella della Bessa, sulla collina morenica, caratterizzata da alcune decine di massi incisi su cui compaiono quasi esclusivamente coppelle; la seconda si situa sugli affioramenti rocciosi interni all’anfiteatro, in particolare su quello del Monte Appareglio, costituita anch’essa da un gran numero di massi coppellati.
        Organizzando i dati secondo questo criterio ci si accorge che in pratica non esistono sovrapposizioni di concentrazioni: una concentrazione, per definizione, ha un suo proprio areale di diffusione entro i cui confini, a quanto ci risulta sino a questo momento, non è ospitata altra concentrazione diversa da quella costituita da un unico masso inciso (insieme di coppelle incise sulla rupe del Truc, in territorio di Meugliano, compresa nell’areale della concentrazione del Giass Very, tanto per restare ad un altro esempio valchiusellese).
        L’areale di diffusione va definito in itinere, con il procedere della ricerca e per questo presenta sempre un carattere di provvisorietà.
        I massi incisi che presentano segni riconoscibili come facenti parte di una data concentrazione possono presentare associazioni di questi con altri che appaiono sporadicamente o una sola volta. Tali associazioni possono essere ‘larghe’ ‘strette’: le associazioni strette si verificano quando i diversi segni sono ospitati sulla stessa superficie litica, ovviamente senza che si possano evidenziare sovrapposizioni; queste ultime implicherebbero una cronologia relativa, un prima e un dopo, che inficerebbe ogni ipotesi di associazione. Le associazioni larghe possono evidenziarsi quando segni diversi rispetto a quelli ascrivibili alla concentrazione sono presenti su massi su cui non compaiono questi ultimi: esse vanno riferite non all’intero areale di diffusione della concentrazione, ma ad ogni singolo sito che vi è compreso.
        Stando a queste premesse può verificarsi il caso che, nell’ambito dell’areale di diffusione di una concentrazione sia individuato un masso inciso che, per la sua collocazione periferica e per le caratteristiche formali dei segni che ospita, si pone come corpo estraneo alla concentrazione stessa: ciò non implica, ovviamente, che il riconoscerlo come tale definisca una maggiore o minore rilevanza archeologica di questo rispetto alla concentrazione; lo si deve piuttosto interpretare come oggetto ‘diverso’ che non può essere studiato insieme agli altri e che necessita di una ricerca mirata.
        Sulla base di questo impianto metodologico abbiamo effettuato il censimento ed avviato lo studio delle incisioni che abbiamo rinvenuto sul versante meridionale del Monte Cavallaria: si tratta di una concentrazione  diversa in modo sostanziale rispetto a quella che abbiamo indicato come ‘concentrazione del Giass Very’; le caratteristiche formali dei segni incisi della Cavallaria non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli cruciformi del Giass Very.  La concentrazione della Cavallaria è costituita da massi che presentano canalette, generalmente di lunghezza  considerevole, talvolta a sé stanti, tal’altra associate a vaschette profonde e quasi sempre sub-rettangolari.
        Un’altra differenza che presentano le due concentrazioni riguarda l’intensità secondo la quale, nell’uno o nell’altro caso, compaiono massi incisi: mentre nell’areale di diffusione della concentrazione del Giass Very abbiamo individuato parecchie decine di massi incisi concentrati nei diversi siti, in quello della concentrazione della Cavallaria i massi incisi non raggiungono la ventina.
        Al fine di verificare la presenza nella tradizione orale di qualche elemento relativo alle incisioni, abbiamo tentato invano di raccogliere testimonianze presso gli anziani di Brosso, che hanno frequentato le pendici del monte per tutta la vita: non solo non erano in grado di fornirci la benché minima informazione, ma addirittura non ne erano assolutamente a conoscenza. Ciò implica che le incisioni della Cavallaria  sono passate inosservate da almeno quattro generazioni. In conseguenza di ciò nessuno dei massi incisi che descriveremo in seguito è mai stato pubblicato in precedenza.
       
 A. Collini – G. Gambino




DESCRIZIONE DEI MASSI INCISI

       Il versante meridionale del monte Cavallaria è oggi molto conosciuto dagli appassionati di volo con parapendio: ogni giorno, tempo permettendo, una navetta percorre la strada di servizio, asfaltata, che, partendo da Brosso, porta al Pian dei Muli, poco sotto la cima. Di lì si lanciano gli amanti di questo sport affascinante.
        Il numero degli escursionisti che vi si avventurano, per contro, risulta piuttosto esiguo: mentre il Mombarone, che in coppia con la Cavallaria si pone come sentinella all’ingresso della Bassa Valle della Dora Baltea, riceve ogni anno la visita di centinaia di alpinisti, canavesani e non, la Cavallaria è frequentata quasi esclusivamente da cacciatori e dai brossesi. Eppure sarebbe sufficiente salirvi per una volta in una giornata serena per innamorarsene: l’esposizione è ottimale e il panorama, immenso, può incantare chiunque.
        L’attenzione del turista è prevalentemente concentrata sulla stupenda storia mineraria propria del territorio di Brosso e dalle antiche strutture che ne sono testimonianza. Ci auguriamo che queste brevi note possano fornire a qualcuno il pretesto per esplorare questa montagna anche in un’ottica diversa, allo scopo di ricostruirne, per quanto possibile, la storia della sua antropizzazione. E in questa storia è compresa la cultura di quelle genti che, per qualche motivo, ci hanno lasciato testimonianza di sé, una testimonianza vecchia di secoli, incidendo quelle rocce che erano parte integrante del paesaggio.
        Come abbiamo avuto occasione di anticipare, è risultato inutile ricercare tra i brossesi, anche tra i più anziani e anche tra quelli che  frequentavano le grange da bambini,  informazioni che riguardassero i massi incisi che stiamo per descrivere. Anche gli attuali proprietari dei diversi fondi che le ospitano ignorano la presenza di incisioni rupestri.
        Siamo arrivati ai diversi ritrovamenti partendo dall’informazione, piuttosto vaga, pervenutaci da uno dei rari escursionisti che apprezzano questi pendìi: solo dopo molto tempo abbiamo avuto modo di verificare l’effettiva presenza del masso che ci era stato descritto; prima di quello ne abbiamo trovati molti altri.
Procederemo nella descrizione seguendo quello che è stato l’ordine cronologico dei ritrovamenti.

 

Verna                                                                (clik sulle foto per ingrandire)

       
     
 Sulla carta dell’ I.G.M. (foglio Traversella) in prossimità del sito compare un unico toponimo, che è Merdanzone, chiaro danno linguistico provocato dai cartografi che hanno malamente italianizzato la voce locale Bardansôn. Sulla stessa carta compare un Verna molto più a est e ad altitudine meno elevata. Il sito, invece, è indicato con il toponimo Verna su una carta prodotta dagli uffici tecnici della Provincia di Torino.
        Ad evitare equivoci è quindi opportuno indicare le due località facendole seguire dagli attributi Superiore Inferiore.
        Per i Brossesi che frequentano oggi la montagna il toponimo Verna Superiore non esiste. Per loro è semplicemente la baita più alta della conca del Bardansôn.
        Poco in basso di questa, a 20-30 metri di distanza, una lastra emergente presenta una splendida incisione (VRN1): una canaletta sinuosa, molto bene incisa, attraversa centralmente la lastra per una lunghezza di oltre un metro in direzione nord-sud per terminare in una coppella ovoidale; a metà del suo sviluppo è accompagnata da un breve tratto rettilineo che sembra voler mantenere la direzione che l’incisione perde compiendo una dolce curva. L’estremo a nord di questa canaletta si propone come punto di incrocio con altra che si sviluppa sinuosamente in direzione est-ovest: gli estremi di questa si collocano là dove la lastra, piuttosto spessa,  pare naturalmente sagomata da due concavità (fig. 1).



   L’incisione rammenta la figura di una grande tau e trova un’immediato confronto, a pochi metri di distanza,  su scala decisamente ridotta (VRN2). Proprio a ridosso della baita, sottoposta al muretto che ne delimita lo spazio immediatamente antistante, una lastra emergente presenta , infatti, un’incisione del tutto analoga (fig. 2).






 Case Gino

        L’antroponimo non compare nella carta I.G.M., ma è presente su quella della Provincia di cui abbiamo già parlato. Sul foglio I.G.M. compare Serpe, agglomerato di baite posto poco più in basso.
        Tra Gino e Serpe è ben visibile, lungo il pendìo, un grande masso adagiato (GNO1), sulla cui superficie fortemente inclinata corre una profonda canaletta, che segue sinuosamente il suo bordo nord-orientale per una lunghezza di quasi cinque metri.
        Se si aggira il masso è possibile salire sulla superficie sommitale, su cui compaiono altre canalette ed alcune coppelle; le une e le altre risultano molto consunte (fig. 3).



  Sul muretto antistante la baita più orientale di Case Gino, così come su quello di Verna e di Drobbi, è presente una lastra sulla quale è incisa una coppia di coppelle ad occhiale: il segmento lineare che le congiunge risulta avere una larghezza quasi uguale al diametro delle coppelle.

 Truc

            Poco al di sotto delle baite, a qualche metro dall’avvallamento sul cui fondo scorre il rio, un masso affiorante (TRC1), sotto il quale è stato ricavato un crôtin, presenta una lunga e ben marcata canaletta accompagnata da alcune coppelle (fig. 4).



 

Alpetta

         Il sito sembra essa il ‘cuore’ della concentrazione. I massi incisi sono collocati nello spazio compreso tra la prima e la seconda baita.
        ALP4 (fig. 5


ospita un insieme complesso di numerose canalette di diversa larghezza e quattro vaschette rettangolari piuttosto profonde; sul fondo di una di queste, e precisamente di quella di maggiori dimensioni,  è incisa a segmenti rettilinei che si intersecano ortogonalmente. La profondità delle vasche si aggira tra i 5 e i 15 centimetri: la più profonda risulta quella centrale. La canaletta più lunga attraversa il masso per tutta la sua larghezza e piega in basso sulla faccia a est. Le dimensioni del masso sono approssimativamente di metri 2 x 1,80 e l’emergenza da terra è di circa un metro.
      Quasi a contatto di questo masso, tanto che i due sembrano separati da una frattura provocata dall’intervento dell’uomo, ALP6  presenta  un analogo insieme complesso (fig. 6):


 sull’apice una vasca rettangolare di 35 x 15 centimetri, profonda 7-8 centimetri, dalla quale parte una canaletta serpentiforme di lunghezza ridotta; la vasca risulta attualmente aperta su uno dei lati lunghi: si intuisce, infatti un intervento che l’ha modificata privandola di una parte e sagomandola esternamente. Dalla vasca principale parte una breve canaletta che segue la sagoma del masso. Al suo fianco una piccola vaschetta rettangolare da cui si diparte una seconda canaletta serpentiforme che scende in direzione sud per poi piegare a ovest; il cambio di direzione è evidenziato da una piccolissima e poco profonda vaschetta quadrata di dimensioni 5 x 5 centimetri. Sul fianco a nord-ovest del masso da una frattura naturale parte un’altra canaletta lunga circa 40 centimetri al cui estremo c’è un incavo sub-triangolare. La parete ha una pendenza di circa 60°.
        La parete a ovest, quasi verticale, presenta altre incisioni: coppelle e canalette; Un’incisione sub-rettangolare presenta al proprio interno un’incisione di difficile lettura.
   L’emergenza massima da terra è di circa 180 centimetri.
   A due metri da questi splendidi massi se ne scorge un altro, adagiato sul piano di calpestìo, di dimensioni 160 x 50 centimetri: al suo apice porta una vaschetta rettangolare (dimensioni 12 x 6 cm.) dai cui lati corti si dipartono due brevi canalette rettilinee (ALP5).
        A sette-otto metri più a monte un grande masso (ALP1: dimensioni 350 x 500 cm.) presenta una superficie superiore piana inclinata di 10-15°: su di essa è incisa una canaletta serpentiforme il cui punto più alto è nascosto da due rocce che coprono in parte la canaletta che scende verso ovest; la sua lunghezza esposta è di 150 centimetri. Un’altra canaletta segue quasi il profilo del masso a est per una lunghezza di circa un metro; al suo estremo verso nord si intuisce una vaschetta rettangolare che il tempo o la mano dell’uomo hanno quasi obliterato. Un’altra canaletta di circa 35 centimetri di lato si sviluppa obliquamente pochi centimetri più a nord. (fig. 7).



       Nel contesto sono presenti altri massi incisi: in questa sede abbiamo fornito una descrizione solo dei più significativi.


Grange Piani

        Nello spazio antistante la baita ristrutturata, proprio ai piedi di una rupe, emerge dal piano di calpestìo una grande lastra (PAN1): al centro della superficie esposta si trova una vaschetta le cui dimensioni massime sono 27 x 18 centimetri e la cui profondità è di 9 centimetri; da questa si dipartono alcune canalette per uno sviluppo complessivo di alcuni metri;  spostandosi di poco verso la casa si possono notare anche una coppella ovoidale e, sotto a questa, una coppia di coppelle ad occhiale (fig. 8).



Grange Rat

            In prossimità della baita che si trova sul costone che separa la conca del Bardanzone da quella di Case Rat, e quindi la più orientale tra queste, emergono dalla cotica erbosa alcuni massi profondamente incisi.
        RAT1 presenta le seguenti incisioni: una vaschetta quadrata di una decina di centimetri di lato e profonda 15 centimetri collegata da una canaletta poco profonda ad una vaschetta cilindrica di 10-12 centimetri di diametro; da quest’ultima si diparte una canaletta che piega subito verso sud per circa 30 centimetri; a 15 centimetri di distanza un’altra canaletta sfocia in una coppella (fig. 9).



         Un altro masso emergente (RAT2), a pochi metri dal primo, presenta due coppelle di circa 7-8 centimetri di diametro unite da canaletta; quest’ultima prosegue poi verso il limite della superficie esposta (fig. 10).



       La superficie inclinata di un terzo masso presenta una coppella ovoidale (dimensione massima 8 cm).
        Tutte le incisioni di questo sito sembrano molto consunte: ciò potrebbe essere dovuto alla particolare natura del supporto litico.
        La particolare conformazione del piano che ospita le rocce incise fa intuire la presenza di altri segni, al momento nascosti dalla cotica erbosa.
        Ad un’altitudine di poco inferiore, sul sentiero che transita a metà tra le località Rat e Balma, proprio dove questo si dirama, su un masso emergente sono incise tre croci latine, un quadrato coppellato al centro, una vaschetta sub-rettangolare con uno dei lati corti arrotondato, due segni lineari accompagnati da una piccola coppella.

  Pian dei Muli


         Sul più grande dei massi emergenti che si vedono dal Pian dei Muli guardando verso Ovest (PNM1), collocato tra i due tralicci dell’alta tensione, compaiono tre coppelle allineate in direzione nord-ovest/sud-est.
        Scendendo dal Pian dei Muli, una volta percorso il tratto quasi rettilineo a breve pendenza, prima che la strada scenda con un tornante verso sinistra assumendo una pendenza ben maggiore, si scorge a sinistra un piccolo bricco. Ai suoi piedi si può scorgere un masso adagiato (BRC1) sulla cui superficie sono incise tre grosse coppelle allineate: la più grande ha il diametro di 15 centimetri, quella centrale (piuttosto consunta) di 8 e la terza di 10. Il loro allineamento segue la direzione nord-ovest/sud-est, proponendo un’analogia con PNM1 (fig. 11). 


Le dimensioni del masso sono di 130 x 110 centimetri.
       Poco distante, ma sulla destra della strada, scendendo, si può notare un altro masso adagiato la cui superficie superiore misura circa 210 x 90 centimetri (BRC2).  Su di esso compaiono una coppella di 10 cm. di diametro e 5 di profondità e una canaletta lunga 45 centimetri sfociante in una coppella ovoidale profonda 7 cm..

Spina

           Sul sentiero che sale a Serpe, alcune decine di metri prima di giungere alle case di Spina Sotto, su una lastra adagiata inclinata di circa 45°, si scorgono due belle coppelle. Di esse, al momento del ritrovamento, emergeva dal piano di calpestìo solo una minima parte della circonferenza.. La prima coppella ha il diametro di 10 cm. e profondità di 6, mentre la seconda ha diametro di 8 e profondità di 3.( fig. 12 ).




 Drobbi

          Le incisioni dei Drobbi sono concentrate sul muretto di terrazzamento immediatamente antistante la baita e sulla scala di accesso in pietra.
        Una delle lastre che compongono il muretto presenta due croci e tre pichere, due delle quali orientate nord-sud e una est-ovest (DRB1).
        Una seconda lastra (DRB2), anch’essa collocata sul muro di sostegno, di forma pentagonale, porta una splendida incisione costituita da una coppia di coppelle ad occhiale accompagnata da una canaletta che, partendo da una delle due coppelle, procede per 15 cm. verso nord, per piegare a ovest  per altri 15 cm. circa,  scendere poi verso sud per altri 15 cm. e riconnettersi alla medesima coppella tramite una curva (fig. 13).



       Sul pianerottolo della scala di accesso alla baita (DRB3) è incisa una coppella di 4cm. di diametro, profonda 3cm. Sulla stessa lastra è tracciata,  in modo piuttosto approssimativo, una croce latina.
        Su uno degli scalini della stessa scala (DRB4) sono incisi diversi segni cruciformi e una pichera. fig. 14 ).



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